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Brutta disavventura per Luca

Ultimo Aggiornamento: 24/08/2007 11:03
31/07/2007 15:12
 
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Armi giocattolo in Kenya, arrestati 2 italiani
La disavventura di due cineasti: sono stati imprigionati a Malindi a causa dei fucili di plastica utilizzati per le riprese di un nuovo film

MALINDI (Kenya) – L’accusa è grave: traffico d’armi. La pena che rischiano è pesante: da sette a quindici anni di carcere. Il comico (o tragico) di tutto è che le armi in questione sono di plastica, usate per girare un film, «Play Hard», rititolato «The American Game», un poliziesco ambientato sulla costa e in un parco kenioti. Il produttore esecutivo, Francesco Papa, e l’organizzatore degli effetti speciali, Silvano Scasseddu, ai quali è contestato il reato, sono finiti in cella a Malindi. Ora, in attesa di giudizio, privati del passaporto, sebbene a piede libero, sono costretti quindi a restare in Kenya.


ATTORI IN FUGA - Gli attori (i protagonisti Luca Ward, Bryony Afferson e Rachel Grant) e il regista (Michele Massimo Tarantini, noto soprattutto per i film cult boccacceschi di gran successo negli anni ’70) sono scappati con tutta la troupe e rientrati precipitosamente in Italia. Papa e Scasseddu sono molto conosciuti nel mondo del cinema. Il primo ha lavorato - e lavora ancora - con Franco Zeffirelli, mentre Scasseddu è un mago degli effetti speciali. Ha realizzato, tra l’altro, alcuni dei film di James Bond e «Gangs of New York» e a lui si rivolgono le grandi major americane quando devono organizzare scene d’azione particolarmente spettacolari. Per questo è stato chiamato anche sul set di «Black Hawk Down», il film, girato in Marocco, che racconta la clamorosa sconfitta degli americani a Mogadiscio nell’ottobre 1993.
Silvano Scasseddu
Silvano Scasseddu
L'INGAGGIO - Il 22 giugno Papa e Scasseddu vengono ingaggiati nel cast di Play Hard dalla Dania film, di Luciano Martino, una società che produce pellicole, anche di successo, da oltre 40 anni. Il giorno successivo sono già in Kenya. Qualche giorno prima, il 19, erano arrivate le armi. Quelle vere, ma modificate per sparare a salve, con tutti i regolari permessi. Quelle di plastica senza nessun documento di importazione. La Dania film aveva incaricato di organizzare il set, e quindi di provvedere alle pratiche di importazione temporanea una società locale, la Waas (World Airort Assistent Service) di Nairobi, la capitale del Kenya. La Waas aveva chiesto alle autorità tutti i permessi necessari a far entrare nel Paese le armi vere. Per le riproduzioni invece nulla. La Swiftlink Freight Services, delegata materialmente a ritirare all’aeroporto di Nairobi il materiale, si era trovata davanti a doganieri titubanti. Alla fine la merce era passata – ma senza documenti - grazie all’intervento personale del regista e produttore del film, Michele Tarantini.
POLIZIA SUL SET - Il set viene allestito nel parco dello Tsavo Est e il 24 giugno cominciano le riprese. Il 29 il sergente John Nunda Torori porta sul posto le armi vere, che aveva preso in consegna a Nairobi, e prende possesso anche di quelle giocattolo. La polizia è sempre presente e controlla che tutto proceda regolarmente. Alla sera, finito il lavoro, le armi, quelle vere e le riproduzioni, vengono riportate in caserma e custodite in armeria. Gli agenti si divertono come matti il giorno in cui Scasseddu fa esplodere una fuoristrada in azione in mezzo alla savana. E’ una scena particolarmente spettacolare che manda in visibilio le decine di comparse, aiutanti e operai presenti.
IL PRIMO ARRESTO - Sono oltre duecento gli impiegati kenioti assunti, anche se a termine, dalla Dania film. Tutti felici di quel lavoro (in Kenya la disoccupazione è endemica) finché il 6 luglio la polizia all’alba si presenta al Coral Key, villaggio turistico dove alloggia la troupe, con un mandato d’arresto per Francesco Papa e Silvano Scasseddu. A nulla valgono le proteste d’innocenza sommate al fatto che i due non sono né i proprietari della Dania, né i responsabili dell’importazione delle armi, ma solo due impiegati assunti meno di un mese prima e arrivati in Kenya dopo lo sdoganamento delle armi: vengono portati in cella. Gli amici chiamano un avvocato, Tukero Ole Kina, che negozia il rilascio dietro pagamento di una cauzione di 75 mila scellini (poco più di 800 euro a testa).
IN CARCERE - Il 7 continuano le riprese del film. Si lavora di lena, anche la domenica, per recuperare il tempo perduto, finché l’11 luglio gli agenti compaiono con i passaporti e la cauzione. Restituiscono tutto con tante scuse: «Siete prosciolti», annunciano. Assicurano che tutto è risolto ed è accordato il permesso verbale di utilizzare anche le armi finte. D’accordo con la polizia vengono avviate le pratiche per richiedere i permessi per la loro importazione temporanea. Ma la situazione precipita il 18 luglio, quando i due vengono riconvocati in caserma con uno stratagemma: «Il comandante in persona vuole scusarsi con voi». E’ una trappola. Papa, che ci cade in pieno, viene arrestato appena mette piede negli uffici. Scasseddu, più sospettoso, viene portato dentro qualche ora dopo.
IL PROCESSO - Il processo è immediato, per direttissima. Qualcuno consiglia ai due accusati di dichiarasi colpevoli («così pagate una multa, vi rilasciano e scappate»), ma loro preferiscono seguire le indicazioni dell’avvocato, che giustamente sospetta l’impossibilità di risolvere tutto con una multa. Davanti al giudice contestano il capo d’accusa: «Siamo innocenti». Comincia la farsa. I magistrati frugano tra scartoffie e faldoni impolverati fino all’inverosimile, alla ricerca degli articoli del codice che puniscono il reato contestato a Papa e Scasseddu. Poi comincia il tira-molla sulla data della prossima udienza. «Novembre», annuncia il giudice. «Prima, prima», implora l’avvocato degli imputati, John Khamiwua, subentrato all’avvocato Tukero Ole Kina, in vacanza a Dubai. L’accordo viene raggiunto: il processo ricomincerà il 17 settembre.
CAUZIONE CERCASI - Intanto i due italiani vengono sbattuti nella cella del tribunale – schifosa e impregnata di urina – assieme ad altri disgraziati africani tra cui un paio di ragazzini. Ma rischiano di finire nella ben peggiore prigione di M’Tagani, un fetido e puzzolente lager alla periferia di Malindi dove convivono prostitute, assassini, pedofili, ubriaconi, banditi, teppisti, terroristi e comunque l’umanità derelitta e delinquente della costa keniota, se qualcuno non pagherà la cauzione di 500 mila scellini a testa (poco meno di 5.500 euro). Il giudice non vuole contanti ma chiede garanzie. Marco Vancini, italiano con passaporto keniota, che aveva pagato la prima cauzione, coproduttore del film e proprietario di villaggi turistici, tra cui il Coral Key, è in Italia. Uno straniero non può dare garanzie. Serve un locale ma non si trova.
«ACCUSE PRETESTUOSE» - Papa e Scasseddu – causa un provvidenziale malore - evitano la sconvolgente esperienza del lager e vengono mandati a dormire al Saint Peter Hospital. L’indomani mattina di nuovo in cella, questa volta con tre prostitute. Solo a tarda sera, mentre stanno per essere trasferiti nel girone dantesco di M’Tagani, il giudice accetta come cauzione i libretti di circolazione di due auto noleggiate dalla troupe. «La pretestuosità delle accuse – spiega l’avvocato Ole Kina – è chiara. I miei clienti non c’entrano nulla. Il reato c’è, perché in Kenya non si possono importare armi finte senza autorizzazione, ma non è stato commesso da loro».
NUOVA UDIENZA - Domani, primo agosto, i due si dovranno presentare in tribunale. Non è un’udienza ma una “mention”, solo una comparsa davanti al giudice per mostrare che non sono scappati. Poi arrivederci al 17 settembre se non interverrà la nostra diplomazia a smuovere la situazione. Finora c’è stata una nota verbale datata 19 luglio della nostra ambasciata al Ministero degli Esteri keniota, «che se ne sta occupando e farà avere un rapporto alla nostra legazione di Nairobi», spiegano all’ufficio stampa della Farnesina. Non è però stato convocato l’ambasciatore del Kenya a Roma per fargli notare come le responsabilità penali siano personali e i due al momento dell’importazione delle armi non erano neppure assunti dalla Dania film.
IL PRECEDENTE - Il Kenya – secondo l’organizzazione indipendente Trasparency International – è uno dei Paesi più corrotti dell’Africa. Sono frequenti le connivenze tra politici, giudici, polizia, doganieri e apparati dello Stato denunciate quasi quotidianamente dei giornali locali. La vicenda di Papa e Scasseddu richiama alla mente quanto accaduto nel 2004 a Estella e Angelo Ricci. Accusati di un colossale traffico di droga i coniugi furono dichiarati innocenti un anno fa, dopo ben 19 mesi di carcere duro. Più tardi si scoprì, tra le altre cose, che qualcuno, accusandoli, voleva impadronirsi delle case che avevano a Malindi. Luciano Martino, il proprietario della Dania film, sulla costa keniota possiede alcune ville. L’ultima bellissima e moderna comprata proprio poco tempo fa.
Massimo A. Alberizzi

fonte: www.corriere.it



stavo guardando il tg5 e nn potete capire, io non sapevo nemmeno che fosse lì a girare [SM=x410700] , appena hanno iniziato a parlare di attori italiani mi si è fermato il cuore...lo sapevo, lo sapevo sul serio [SM=x410700] nn so come [SM=x410668] mamma che paura!


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