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Ossezia, rilasciati 26 ostaggi: sono donne e bambini

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2004 12:07
05/09/2004 11:34
 
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Dany&LucaOfficialFanForever
A Beslan è l'ora della rabbia "Non basta pagare i funerali"

BESLAN - Centinaia di cancelli si aprono, come fossero finestre da cui può fuggire un'aria malata. In Ossezia segnalano una famiglia che si prepara al lutto: i vivi aprono ai defunti le vie del cielo. Centinaia di cancelli, centinaia di morti. Accanto ad ogni cancello una famiglia seduta su una panca, vestita di nero, in attesa di riavere almeno un corpo. Qui tre, là due, più avanti quattro, altri tre nella casa successiva. In una sola strada contiamo quaranta cancelli.

La strage dei bambini e delle loro mamme, quella dei padri che chiedevano di essere uccisi al posto dei figli, è un macigno che nessuno potrà più sollevare da Beslan. Un carico di vite che qui marca la fine e l'inizio della storia. L'eredità di un ricordo che graverà per sempre sulla gente del Caucaso.

Ora la scuola sembra uno scheletro. Restano solo travi d'acciaio, piegate dal calore dell'incendio. Sotto, macerie. Attorno, il cortile, è ciò che rimane di un campo di battaglia. Sacchi neri accolgono i cadaveri irriconoscibili, arsi e consumati dalle fiamme. Dalle finestre al primo piano, il solo a reggersi ancora, si vedono i libri, i quaderni, le lavagne. Un armadio sfondato da una granata mostra alcune paia di scarpine di ginnastica. Una scritta, vecchia e impegnativa: "Viva chi vive".

Al lavoro ora ci sono le ruspe. Nessuna speranza di trovare ancora qualcuno in vita. Si spostano calcinacci e mattoni, vetri. Il luogo dei martirio sarà abbattuto. Al suo posto, annunciano le autorità, sarà eretto un monumento. "Lo Stato sa pagare solo le lapidi - commenta la folla ancora raccolta fuori dal teatro che per tre giorni ha accolto i parenti degli ostaggi - ma non ha saputo salvare i nostri figli". Per il monumento in ricordo della strage di Beslan, verrà bandita una gara internazionale. Il conto sarà spedito a Mosca.

Alla disperazione di venerdì succedono il crollo e la rabbia. Per tutta la notte migliaia di persone hanno vagato tra gli ospedali, scorrendo liste di feriti compilate a mano e affisse sui muri. Cento telefonate, visite a vicini, corse tra il quartier generale dei soccorritori e il punto da cui le ambulanze partivano senza distinguere tra vivi e morti. Per i parenti è il giorno del cedimento nervoso. Chi ha trovato vivi figli, mogli o mariti, crolla sfinito in casa. Andare in ospedale, oggi, per i parenti significa che il destino ha rinviato l'ultimo appuntamento. Sollievo e assieme un senso di ingiustizia, come una colpa da scontare, prima o poi.

Coloro che hanno letto nomi e cognomi sugli elenchi dei deceduti, sostano davanti agli obitori per chiedere almeno la grazia di recuperare un corpo. Quelli che non hanno né morti, né feriti, né fuggiti, sono accasciati sulle transenne che ormai isolano l'area attorno all'istituto. Dispersi: oltre un centinaio. Secondo le autorità potrebbe essere gente impegnata nei soccorsi, o nella stupefacente caccia a fantomatici - testuale da comunicato - "terroristi islamici ancora non individuati". Ma nelle case dei "dispersi al lavoro" ci si prepara ad aprire il cancello, annuncio del funerale.

Colonne di carri armati e camion carichi di soldati lasciano la città. A ricevere il presidente Vladimir Putin, all'alba in visita all'ospedale, non c'è andato nessuno. Non ci sono applausi, per polizia ed esercito. "Sembrava dovessero conquistare l'America - dice Yuri Bezhidev - invece sono stati fermati per dieci ore da un pugno di terroristi. Gridano, sparano, esibiscono elicotteri e blindati, ma nemmeno un briciolo di testa, qualcuno che comandi". Accuse incrociate. "Se non ci fossero state le milizie locali - attaccano gli uomini scelti dell'Omon - avremmo avuto un problema in meno. Dilettanti con il mitra, hanno fatto confusione. Così i guerriglieri si sono potuti confondere tra chi cercava di cacciarli. E noi abbiamo dovuto occuparci sia dei terroristi che degli uomini di Beslan che volevano giocare alla guerra".

Il fallimento dell'intervento dei reparti speciali è però evidente. Quasi 400 morti, in base alle indistinte stime ufficiali che non indicano il numero dei bambini, attestano che l'imponente macchina dell'assalto non ha funzionato. Il crollo delle teste di cuoio, dopo l'ennesimo dei servizi segreti. "Ma ogni catastrofe - grida Telik Gibilov - i generali vengono promossi. In un altro Paese li licenzierebbero: qui, da domani, avanzano di carriera. Capite? La corruzione di polizia e forze dell'ordine è arrivata al punto che i guerriglieri abbiano un listino con i prezzi degli attentati nei vari posti.

La scuola di Beslan era tra i luoghi più economici. Hanno stivato le armi, passato i posti di blocco, sequestrato i camion: tutto per pochi dollari. E oggi ci dicono che il confine tra Ossezia del Nord e Inguscezia è stato chiuso: oggi, dopo 14 anni di sequestri e rapine, dopo la strage degli innocenti".

Potrebbero sembrare gli sfoghi di individui esasperati. Invece la rabbia di Beslan, poco dopo mezzogiorno, esplode. Sulla piazza del teatro parlano il ministro delle Finanze, Mikhail Urtaev, e il vice ministro della difesa, Soslan Sikoev. Il primo annuncia trionfante che tutti i costi per i funerali delle vittime saranno a carico del governo. Il secondo propone una fossa comune per tutti i morti, affinché "il ricordo non distingua un singolo, ma tutti i nostri cari caduti".

Mentre ancora nessuno sa cosa sia accaduto davvero, quali siano state le indicazioni reali trasmesse da Mosca, né quanti manchino all'appello, i due annunci producono gli effetti di un terremoto. La folla comincia a gridare, vorrebbe tirare giù dal podio i due politici. "I nostri cari sono morti per colpa loro - urla l'anziana Vera - e pensano di cavarsela pagando bara e montone? Non ci hanno fatto vedere i cadaveri, non ci restituiscono i corpi, e ci vengono a parlare di fosse comuni? Dove sono i loro figli? A studiare in Svizzera: si dimettano, se hanno una dignità". Sikoev assicura di essere pronto a lasciare il posto, ma che nulla cambierà lo stesso.

E i parenti degli ostaggi si indignano ancora di più. "Hanno i cadaveri già nei camion frigo - grida Aslan Tek - per portarli via e non dire mai al mondo quanti bambini e quante madri hanno lasciato uccidere. No: noi vogliamo i nostri cari, pretendiamo un funerale per ogni vittima. Abbiamo il diritto di riavere quei corpi. E un montone non basta". Il tema, a Beslan, è di una certa importanza. Ad ogni rito funebre, per tradizione, partecipano tra mille e duemila persone. Sono tutti mezzi parenti, in Ossezia, oppure si conoscono.

Vengono organizzati pullman, per le esequie, che raccolgono gente in tutta la regione. E la famiglia del morto offre un banchetto a base di carne. "Un montone non basta - spiega Alan Gibilov - per ogni funerale dei bambini della scuola ci saranno migliaia di persone. Servono almeno un toro e un paio di montoni a testa. Un toro costa 15 mila rubli (circa 450 euro ndr), un montone 2 mila. Ci sono famiglie che hanno avuto tre o quattro vittime: se la Russia non vuole spendere nemmeno qualche migliaio di rubli per far seppellire i nostri figli, significa che avevano ragione i terroristi: di noi al Cremlino non è mai interessato nulla".

I due politici riescono a lasciare la piazza protetti da alcuni agenti e la folla promette che lunedì sfilerà sotto gli uffici del presidente dell'Ossezia del Nord, a Vladikavkaz. Gridano che se Alexander Zazhokov ha rifiutato di incontrare i guerriglieri, non potrà sottrarsi all'incontro con la sua gente. Chiedono di avere presto i corpi, di poter fare funerali singoli entro martedì, di sapere con esattezza il numero dei morti complessivo e quello dei bambini.

L'odio etnico si sparge negli slogan contro i ceceni e contro gli ingusci. Guerre antiche, omicidi non vendicati nel sangue, che riaffiorano in decine di storie personali che tentano di giustificare la voglia di farsi giustizia da sé. La strage nella scuola di Beslan ormai ha risvegliato il mostro dei rancori di clan: nuove guerre, altri orrori, si annunciano nel martoriato Caucaso del Nord. Una vecchia, sorretta da altre due, cerca di entrare nel quartier generale delle autorità, dentro il municipio. Due agenti le si parano davanti, con il mitra spianato. "Accesso vietato", sibilano. Lei infila qualcosa nel taschino di uno. E' la foto dei tre nipotini a cui non potrà più raccontare le sue storie.
(5 settembre 2004)

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